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Rubrica TEATRAL-MENTE "Don Giovanni a Soho" - A cura della dott.ssa Mariachiara Pagone

Aggiornamento: 20 dic 2022


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Il 17 dicembre è andato in scena nel Teatro Maria Caniglia lo spettacolo Don Giovanni a Soho – regia Gabriele Russo nella riscrittura di Patrick Marber - inspirato al Don Giovanni di Moliere.


Dal 1929 al 1962 tante sono state le “parole cancellate” attraverso la censura in ambito teatrale, grande è stata l’omissis culturale.

Ecco che il teatro deve offrirsi come spazio massimo di “scomodità” ovvero quel luogo in cui l’essere umano si interroga sulla sua esistenza. L’uomo che parla all’uomo non può non essere uno specchio in cui poter vedere proiettate parti profonde di se stessi.


Spesso ci viene difficile poter guardare dinanzi a noi ciò che va a rievocare parti dell’umano che solitamente sono nascoste.


Lo spettacolo del Don Giovanni mette dinanzi a fratture dell’esistenza, fa stridere “la morale”, ma spesso è frequente che dietro ad un eccesso di morale vi sia l’impossibilità di poter esprimere propriamente se stessi.

Se pensiamo anche Cristo venne accusato di esser “troppo vicino” ad una prostituta.


Ecco che questo spettacolo si pone come sguardo verso una contemporaneità che lascia basiti, increduli e che dà “appositamente fastidio” all’occhio dello spettatore. I temi che tocca sono il narcisismo, la mania di grandezza, il delirio di onnipotenza, l’attacco alla “legge del padre”.


È uno spettacolo che spinge a riflettere sull’edonismo e sulla ricerca del godimento immediato molto rumoroso in questo tempo attuale.


Il protagonista con il suo fascino travolgente ci offre un uomo privo di scrupoli, che sfida la morte e si ribella alle leggi.


L’impatto scenico è interessante. Lo spettacolo inizia con la sua conclusione, ciò a mostrare a volte il circolo vizioso in cui siamo inscritti ed a sottolineare questa circolarità, una pedana rotante, altro protagonista della scena.


Sì, una pedana che segna il tempo ed il suo scorrere.


La percezione dello stesso che muta da lento a velocissimo, spesso sfuggente all’occhio dello spettatore. L’inconscio non conosce il tempo ma si elabora attraverso di esso.


Qui proprio come nella clinica lacaniana il tempo non è lineare ma è scandito dal ritmo delle aperture e delle chiusure dell’inconscio, attraverso le sue interferenze, gli inciampi, le interruzioni che in scena sono disegnate attraverso i tableaux vivants (quadro vivente), al contrario invece della linearità dell’Io che ha un altro tempo ed un altro ritmo.


Il Don G., DJ londinese che vive di assenza di pudore, sposa Elvira donna illibata, al fine di poterla macchiare ma la lascia interdetta quando lei si renderà conto di chi aveva sposato.


Meraviglioso il monologo di lei che si muove sulla pedana rotante, mentre lui che nonostante continui il suo cammino rimane costantemente fermo, si perché è un uomo che non può avanzare davvero, in quanto la sua vita ruota su un discontrollato libero arbitrio che lo fa approdare sempre sulle stesse terre.


Bella la presenza del suo affiliato Stan, uomo desideroso d’amore che cade nella stessa ragnatela di fascino seducente del Don G., si evidenzia nella sua ambivalenza è l’ alter ego /'alter 'ɛgo / locuz. lat. ovvero "un altro se stesso" del Don G., ovvero colui che ne sposa da una parte la condotta in quanto è il suo solo punto di riferimento ma al contempo lo porta a riflettere insieme al PADRE ed a Elvira sul vero senso della vita e sull’importanza dei valori.


Si fanno presenza nello spettacolo scene di “integrità” toccanti.


Compare in scena la Statua ovvero la voce della sua coscienza. Colei che cercherà di far comprendere che quel tempo è quasi finito e che dovrà farne buon uso, ma il Don non ha morale e pentimento e continuerà in modo coerente a percorrere la sua strada.


Egli non può seguire la LEGGE perché essa simboleggerebbe l’interdizione all’accesso della pienezza, ella inserirebbe il “divieto” ovvero la legge castrativa.


Il nostro seduttore non perviene all’incontro autentico con l’altro. Per la psicoanalisi ciò indica la paura del rapporto autentico ma rappresenta anche fedeltà ad un oggetto interno arcaico- la madre.


Celata vi è la fragilità dell’umano che impedisce al Don Giovanni di misurarsi con la frustrazione e con la perdita. Ecco che egli abbandona per primo per non incorrere nel pericolo di essere abbandonato in modo da non sperimentare l’esperienza della separazione e del lutto, da lui considerata insostenibile.


Per questo tipo di personalità narcisistiche con sfumature ossessivo perverse, riuscire a sedurre l’altro, (che poi equivale a sottometterlo) rappresenta una verifica positiva del loro stesso valore.

Una riprova della loro esistenza.


Seduco, dunque sono!


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