Le parole servono. Responsabilità - A cura della Dott.ssa Lucia Colalancia
- Parole in famiglia

- 26 mar 2023
- Tempo di lettura: 6 min

“E’ vero che non sei responsabile di quello che sei,
ma sei responsabile di quello che fai di ciò che sei.”
Jean-Paul Sartre
Il viaggio della pensabilità ci conduce alla parola responsabilità. In fondo cercare il senso della propria esistenza, della propria verità soggettiva, se da un lato ci pone dinanzi alla libertà (vedi Le parole servono: Verità e Libertà) di cercarla o meno, dall’altra ci mette davanti alla nostra responsabilità. Perché siamo sempre responsabili della nostra soggettività. In che senso?
Jean-Paul Sartre, in “L’essere e il nulla”, definisce la libertà come la capacità che l’uomo ha di autodeterminarsi, di scegliere autenticamente se stesso e, dal momento che non esistono valori predeterminati, l’uomo, dice Sartre, è artefice dei suoi valori, ossia di ciò in cui crede. Valori che (cfr. Lucia Colalancia “Le parole servono. Educare la pensabilità in tempo di pandemia”, p. 199) ci rimandano al “come” della nostra esistenza, cioè a quell’atteggiamento che assumiamo di fronte alla vita, al nostro esserci, al nostro agire… E quel “come”, quella postura di fronte all’imprevedibile della vita, di fronte al nostro esserci, richiama inevitabilmente la nostra responsabilità. Ma Sartre ci ricorda che la responsabilità dell’uomo, legata al libero arbitrio che lo costituisce, è soprattutto riferibile a quello che facciamo di ciò che siamo: “E’ vero che non sei responsabile di quello che sei, ma sei responsabile di quello che fai di ciò che sei.”
Quello che fai di ciò che sei… e, aggiungerei, di ciò che vuoi essere, di ciò che desideri essere: una responsabilità della nostra soggettività più intima e profonda, che richiede consapevolezza sì, ma che ci conduce oltre, a qualcosa a cui siamo richiamati, nel tempo della vita, in ogni ambito della vita; a qualcosa che spinge, pungola e chiede risposte. In tal senso la parola responsabilità ci rimanda alla dimensione relazionale, all’incontro con l’alterità che ci costituisce, a ciò che l’altro ha fatto di noi. In questa dialettica, etica e relazione si interfacciano proprio in quella postura che dà alla singola esistenza la possibilità di divenire, di crescere, di essere responsabile della propria soggettività.
L’etimologia di questa importantissima parola risale al latino respondere, ossia rispondere, assumersi la paternità e le conseguenze che ne derivano. Di qui possiamo intravedere le molteplici sfaccettature del rispondere: si risponde di sé (responsabilità soggettiva), si risponde all’altro (domanda proveniente dal prossimo, dalla società, dalla natura, dalla trascendenza…dimensione relazionale della responsabilità), si risponde per l’altro (responsabilità intersoggettiva, etica e giuridica). In ognuna di queste sfaccettature si delinea come l’esistenza umana sia chiamata a rispondere “liberamente” ad un appello della realtà, soggettiva e intersoggettiva, a lasciarsi interrogare nel profondo dall’alterità e dare risposte che ne contemplino le conseguenze. La responsabilità, come risposta all’appello dell’alterità, inevitabilmente ci rimanda alla questione dell’identità, di chi siamo, come umani, e di come vorremmo essere; al vuoto di senso che spinge la ricerca; al desiderio di essere e divenire se stessi, fino in fondo.
Verità, libertà e responsabilità sono parole intrinsecamente legate, dove le prime due si esprimono nella terza, in quel “come”, in quella “postura” che assumiamo di fronte all’appello che ci arriva da noi stessi o dall’altro. Quel “come” fa la differenza in ogni esistenza umana e ci definisce nell’intimo.
Nella società in cui stiamo vivendo, attraversata da profonde e radicali questioni antropologiche che richiamano la definizione dell’identità, di chi vorremmo essere e diventare, la parola responsabilità diventa straordinariamente strutturante e vitale, se riempita di senso e riconosciuta nella sua profondità.
Psico-educazione: responsabilità
A cura della dott.ssa Lucia Colalncia
“Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non devi dimenticare.
Tu diventi responsabile per sempre di ciò che hai addomesticato”.
Il Piccolo Principe
La parola responsabilità nella psico-educazione si colora di ulteriori sfumature, in particolare se la leghiamo alla relazione. Perché, come ci ricorda la Volpe in pagine straordinarie de Il Piccolo Principe di Antoine Da Saint-Exupery (cfr. pp 91-98, XVIII Edizione Bompiani, 2012), la responsabilità è strettamente interconnessa con i legami affettivi, con quell’addomesticare, con quell’esserci per l’altro e con l’altro.
“Gli uomini hanno dimenticato questa verità”: la Volpe sottolinea al Piccolo Principe quanto questa connessione abbia a che fare con la verità, con ciò che è vero e profondo, con ciò che lega l’addomesticare alla responsabilità. Non solo… Che questa fondamentale verità gli uomini l’hanno dimenticata, ossia non ce l’hanno più nella mente (dal latino tardo dementicare “uscir di mente” derivato di mens mentis – mente, con il prefisso de). Non a caso usa questo termine derivato da “mente”, perché il legame affettivo, la relazione, in particolare quella genitoriale ed educativa, implicano “l’avere nella mente” uno spazio occupato (Winnicott definisce questo avere nella mente con l’espressione “preoccupazione materna primaria”) dall’amore per l’altro, per il figlio, per l’educando.
La Volpe in queste pagine straordinarie spiega cosa significa creare legami e come i legami abbiano a che fare con i riti (cfr. Le parole servono, p. 54), con quell’esserci speciale nel tempo e nello spazio di una relazione che nasce su bisogni corrisposti, sulle attese, su un esserci per l’altro che richiama all’avere nella mente proprio quello spazio e quel tempo specifico per l’altro. Introduce inoltre un altro elemento fondamentale: la possibilità della perdita, del lasciar andare e di come questa necessaria dimensione del legame, la separazione (cfr. Le parole servono, p. 212), sia pervasa da una inevitabile quota di dolore che, però, riempie nel profondo (“Ma allora che ci guadagni?” “Ci guadagno” disse la Volpe “il colore del grano”). Ogni volta che rileggo queste pagine provo una profonda emozione per parole di una semplicità sconcertante che penetrano nel profondo e che, ogni volta, svelano, tra le righe, qualcosa di nuovo.
Se tu diventi responsabile per sempre di ciò che hai addomesticato allora, nell’educazione questo implica tenere nella mente quello spazio tempo, quell’esserci speciale per l’altro, ossia calibrato su quella particolarità, su quella unicità relazionale. Non esistono regole generalizzabili su come esserci, su come essere responsabili per sempre, poiché ogni “altro” è unico.
Ogni genitore si misura quotidianamente su come esserci nella vita dei figli, su come essere un adulto di riferimento “responsabile” e testimone di questa verità da non dimenticare mai, nel tempo della loro crescita, avendo a cuore e nella “mente” un’attenzione speciale ai bisogni dei figli. In tal senso vi invito a vedere con i vostri figli il film di animazione “Il Piccolo Principe” (2015) regia di Mark Osborne, in cui la vita di una bambina, destinata ad entrare nella scuola più prestigiosa della città, si “colora” di avventure e emozioni dall’incontro con il bizzarro vicino di casa, l’Aviatore. La vita della piccola protagonista è fatta solo di doveri e “responsabilità”, scandita e ossessivamente gestita da una madre emotivamente assente e decisamente lontana dall’avere nella mente uno spazio affettivo per la figlia, dominata da aspettative e immersa, anche lei, in una vita in bianco e nero. L’incontro con il bizzarro vicino di casa, con le sue storie raccontate e le avventure vissute e “fantasticate”, offre alla piccola la possibilità di scoprire l’importanza dei legami affettivi, di entrare in una dimensione di senso “altra” dalla vita in bianco e nero e di scoprire ciò che è veramente importante. Una storia nella storia, quella della bambina e quella dell’Aviatore e dell’incontro con il Piccolo Principe, che offre l’opportunità di riflettere su ciò che colora la vita e su come esserci nella relazione con i figli… Naturalmente la magia della lettura e dell’immaginare il capolavoro di Antoine De Saint-Exupery, come rito serale, non ha eguali.
A voi la scelta!
Etimologia: Responsabilità - A cura della dott.ssa Raffaella D’Eramo
L’origine del termine responsabilità risale al verbo latino respondēre (rispondere; dare responsi; dare consulti; corrispondere; rispondere agli impegni, pagare) composto dalla particella re- (che esprime ripetizione di un’azione) e spondēre (promettere; dare la propria parola; dare garanzia; da cui anche sponsĭo promessa solenne e spōnsum promesso sposo). Entra nell’uso dell’italiano volgare per imitazione dei termini francesi responsabilité e responsable che al tempo del feudalesimo era colui che avrebbe dovuto corrispondere al proprio seigneur una somma per l’affitto di un feudo ecclesiastico. La responsabilità è la consapevolezza di un impegno e la capacità di dare risposta in prima persona alle proprie azioni, ai propri sentimenti e ai propri pensieri, senza cedere a scuse e giustificazioni e senza delegare. Un vero e proprio modo di essere che nasce da quelle caratteristiche che rendono una persona onesta, corretta e coerente, ma soprattutto libera: la libertà, infatti, è la condizione necessaria per compiere scelte importanti e determinanti per la propria esistenza, la traccia da seguire per non fare quella che sembra la scelta più facile e per non aderire a modelli imposti dall’esterno. L’essere responsabili permette di interrogarsi sempre, dando valore alle proprie capacità e ai propri limiti, e di capire quali siano le azioni più giuste da compiere e quale il modo migliore di affrontare una situazione, consapevoli che ogni azione genera delle conseguenze dalle quali non si può e non si deve fuggire. Tutto dipende da noi, possiamo scegliere se correre dei rischi, perché esseri imperfetti, e rimanere liberi, oppure ritrovarci nella condizione di vittima a causa della nostra immobilità e del nostro deresponsabilizzare.






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