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L’Atto di Basaglia - A cura del dott. Cristian Prosperini

Intervento del meeting "Psiche e dintorni" della dr.ssa Chiara Buccini



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“Avevamo già capito che un individuo malato ha, come prima necessità, non solo la cura della malattia ma molte altre cose: ha bisogno di un rapporto umano con chi lo cura, ha bisogno di risposte reali per il suo essere, ha bisogno di denaro, di una famiglia e di tutto ciò di cui anche noi medici che lo curiamo abbiamo bisogno”. Franco Basaglia

 

Il centenario dalla nascita di Franco Basaglia è una preziosa occasione per tornare a mettere in evidenza il suo impatto nel modo di intendere l’intervento residenziale sulla sofferenza psichica.

La potenza del suo atto, in grado di mettere in moto una riforma che ha avuto come esito la legge 180/78, è stata quella di restituire dignità al malato psichiatrico, riconoscendo la necessità di aver ben chiaro come ogni malato sia primariamente un essere umano che soffre.

Una constatazione che seppur ovvia non è affatto scontata.

La fondamentale intuizione di Basaglia fu di cogliere come la strutturazione dei manicomi, con la sua implicita distruzione della quotidianità, producesse un’alienazione nei pazienti che aveva come esito una loro mortificazione disumanizzante. Corpi vuoti e sguardi assenti furono, infatti, ciò che colpì lo psichiatra veneto. Tutte le persone che venivano ricoverate per i più svariati quadri clinici finivano per soffrire della stessa alienazione mortificante.

 

Se, come aveva già evidenziato Michel Foucault, l’istituzione del manicomio rappresentava l’esercizio di un potere di segregazione del diverso, del dissidente in una piena logica detentiva, la riflessione di Basaglia e dei suoi colleghi ha realizzato pionieristicamente in Italia la creazione di una nuova prospettiva di cura che prova a spezzare quella precedente, determinando il principio che guida le moderne comunità terapeutiche.

Ciò che cura, infatti, non è l’essere allontanato dalla comunità, ma il farne parte. Essere elemento attivo di una comunità è una dimensione integrante del processo terapeutico e riabilitativo.

 

Certamente poter intervenire in un contesto diverso da quello familiare consente di agire con un’intensa ristrutturazione del quotidiano stesso. Al di là di fattori terapeutici espliciti, siano essi percorsi individuali espressivi o supportivi, ciò che più interviene in un percorso residenziale sono fattori impliciti come l'organizzazione di una nuova quotidianità, di un ritmo regolare che, mediando le modalità di legame con l’Altro, ha effetti psichici considerevoli.

 

Se spesso entrare in un percorso residenziale consente l'allontanamento dal contesto iatrogeno, non è possibile pensare la persona che soffre possa star meglio semplicemente recidendo i suoi legami e relazioni con il contesto in cui vive e con i suoi cari. È questo l’aspetto fondamentale che rende necessario un supporto alla famiglia.

Le famiglie, infatti, confrontate con un’alterità ingovernabile che la sofferenza psichica è in grado di mettere in evidenza, in alcuni casi si trovano ad essere inermi e sole.

 

Se al cuore dell'individuo ciò che troviamo è l'Altro, non possiamo pensare una cura che non contempli l'Altro. Sia fantasmaticamente o concretamente, come accade nei percorsi terapeutici di comunità, il rapporto con l’Altro familiare ha un ruolo centrale proprio perché ciò che siamo si forgia non solo, ma soprattutto all'interno della famiglia che rappresenta la finestra da cui ci affacciamo alla vita, incidendo quindi sul nostro modo di stare al mondo.

 

Ciò che spesso si viene a realizzare in situazioni di sofferenza psichiatrica è il dolore supplementare delle famiglie nell’essere abbandonate a loro stesse. Un dolore che può mettere in moto, non sempre consciamente, una torsione che le porta ad essere a loro volta abbandoniche. Consegnare il caro che soffre all'istituzione per poter tirare il fiato, con la speranza che questo sia sufficiente a far sì che possa essere curato.

 

La scarsità di risorse economiche, d'altra parte, indebolisce le istituzioni in grado di intercettare la sofferenza e farsi promotori di un percorso di cura, costringendo talvolta a dover focalizzare le energie a disposizione finendo per tagliar fuori, o quanto meno non integrare al meglio le famiglie nella cura. Una buona presa in carico, infatti, deve tenere in considerazione l'Altro familiare perché possa mettersi in moto un processo di cura più ampio, concreto e quindi davvero efficacie.

 

Ricordare il gesto di Basaglia ci permette di preservarlo rinnovandolo ancora una volta, evidenziando come si sia tutti protagonisti responsabili di una parte del processo di cura.

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